Il Presepe allegoria della Natività, metafora di rinascita

Il Natale, quale giorno per celebrare la nascita di Gesù Cristo, nasce intorno al IV secolo dopo Cristo, e poiché i Vangeli non facevano riferimento a data alcuna si soleva festeggiare nelle giornate più disparate. Fu la Chiesa d’Occidente che ufficializzò la data del 25 Dicembre per far coincidere la nascita di Gesù con il solstizio d’inverno e la nascita del Sole.

La natività è legata a tutta una serie di figurazioni, riti e tradizioni, che ci accompagnano per tutto il periodo delle festività natalizie. L’immagine più rappresentativa è il Presepe, il cui nome ci viene dal
Vangelo di San Luca, in cui racconta che la Madonna, partorito Gesù, lo avvolse nelle fasce e lo ripose in un “praesepe”, cioè mangiatoia. Inventore del presepe fu San Francesco che nella notte di Natale del 1223 volle rappresentare la nascita di Gesù, riproponendo in una chiesetta di Greggio la scena della grotta di Betlemme.

Ma le origini del presepe hanno radici più antiche, la sua tradizione si è succeduta nei secoli sino ai giorni nostri, arricchendosi o mutando nella forma, ma mai nel suo significato, nella sua metafora di rinnovamento, di rinascita e di speranza.

Il Presepe e la sua storia millenaria conservano intatto il fascino che avvince credenti e laici, è un intreccio di fede e di leggenda, gran parte delle ambientazioni derivano da Vangeli apocrifi e da antiche tradizioni in quanto i Vangeli canonici parlano in modo vago della Natività.

Il presepe è rappresentazione ricca di elementi e di personaggi dalle caratteristiche sempre più umane.

“Te piace o presepe?” è la frase tormentone di Edoardo De Filippo in “Natale in Casa Cupiello”, esempio di quanta cura e attenzione, di quanta passione a costo di sacrifici occorra per realizzare
un presepe, che possa essere momento di aggregazione della famiglia, un focolare a cui far intiepidire i cuori, tradizione da tramandare di padre in figlio, insegnamento per le nuove generazioni.

Ogni presepe che si rispetti, modesto o spettacolare che sia, deve immancabilmente avere elementi e personaggi ben precisi. Anche l’impostazione non è casuale, al centro e nel sito più basso è posta la grotta, quella più grande.

È il luogo della natività, simbolo di maternità, ove vi è la mangiatoia, contenente il fieno, elemento di sostentamento degli animali della stalla. Lì nella mangiatoia Gesù si fa fieno, nutrimento per l’umanità.

Impervi sentieri conducono alla grotta, dall’alto del castello di Erode scendono fino al basso, un viaggio simbolico sino alle viscere della terra, dove vincendo le paure della discesa nel buio si partecipa alla rinascita del sole. Un ambiente misero la grotta che, in Occidente, verrà sostituito dalla stalla, simbolo di umiltà.

A comporre la Natività ci sono Maria, madre di Gesù, l’Immacolata senza peccato originale, madre per eccellenza, e Giuseppe, simbolo di virtù matrimoniale, responsabile e custode della famiglia. Accanto a Gesù un asino e un bue. Il bue segno di forza, ma paziente e sottomesso, l’asino è simbolo di intelligente umiltà.

Immancabile il fuoco quale energia vitale, la natura con la sua vegetazione ove la palma è simbolo dell’albero della vita. E i Re Magi, straordinari ospiti del presepe, i nobili tre fratelli Melchiorre, Baldassarre e Gaspare, tre il numero perfetto. Sono anche il simbolo delle tre età dell’uomo: giovinezza, maturità e senescenza. Tre come le tre popolazioni sino ad allora conosciute. I Magi sono
rappresentati in due versioni: una a piedi, l’altra a cavallo o in groppa ad un cammello, dove il cammello è simbolo di sobrietà, obbedienza e mansuetudine. I loro cavalli sono rispettivamente di colore bianco, rosso, nero, come i colori del ciclo solare: il bianco l’aurora, il rosso il mezzogiorno, il nero la notte. I Magi a cavallo nella tradizione presepistica vengono posti nel luogo più distante dalla grotta, a Oriente,
luogo da cui partirono alla volta di Gerusalemme, punto da cui ha origine il sole. Con il trascorrere dei giorni, i Magi avanzano sino a giungere dinanzi alla grotta il 6 Gennaio, ora sono a piedi, inchinati dinanzi al Signore, a cui porgono i propri doni: l’oro è l’omaggio alla regalità di Gesù, l’incenso è testimonianza di adorazione alla divinità, la mirra dono per il suo essere uomo. I Magi sono
anche simbolo di relazione tra la terra, nella loro razionalità e il cielo, nella metafisica di uomini con poteri straordinari.

La loro rotta è segnata da una stella, che vien posta sulla grotta, l’iconografia vuole sia una stella cometa con la coda. Fu Giotto il primo a dipingere la Natività con una stella dotata di coda, impressionato forse dal passaggio della cometa di Halley nel 1301. La stella è luce, quella
che i Magi seguono nella notte, scrutando i cieli, segno della capacità umana di recepire anticipazioni dall’inconscio.

Poi tutt’intorno alla grotta, altre grotte in cui vi sono le pecore emblema di onestà, candore e ingenuità e i pastori con i loro cani simbolo di fedeltà, e ancora animali da cortile e mucchi di paglia.

E se i pastori incarnano l’umanità, gli angeli sono rappresentazione della trascendenza di Dio, messaggeri di fratellanza e solidarietà.

Lo scenario presepistico si arricchisce di tutta una serie di personaggi quali i venditori, personificazioni dei mesi dell’anno: Gennaio il macellaio o il salumiere, Febbraio il venditore di ricotta e formaggio, Marzo il pollivendolo, Aprile il venditore di uova, Maggio la coppia di sposi con un cesto di frutta o ciliegie, Giugno il panettiere, Luglio il venditore di pomodori, Agosto il venditore di cocomeri, Settembre il seminatore, Ottobre il vinaio o il cacciatore, Novembre il venditore di castagne, Dicembre il pescivendolo o il pescatore. In particolare le figure del cacciatore e pescatore rinviano ai cicli morte-vita, giorno-notte, estate-inverno e hanno nel presepe delle posizioni speciali: il cacciatore
si colloca in alto, mentre il pescatore in basso presso i fiumi o vicino al ponte. Quest’ultimo è simbolo di passaggio, è il transito tra la vita e la morte.

Una tradizione vuole che il giorno del 6 Gennaio, lì dove era situato un ponte, si collocavano 12 figurine di frati scalzi e incappucciati con il pollice della mano sinistra fiammeggiante, a rappresentare i mesi morti o i 12 giorni del periodo natalizio che, il giorno dell’Epifania, al seguito dei Magi, ritornavano
nell’aldilà.

Personaggio caratteristico è la lavandaia, la levatrice di Maria. Secondo i testi apocrifi tante furono le
levatrici testimoni del parto verginale di Maria, ma solo una, Salomè, osò accertarsene toccando la Madonna, la conseguenza del suo gesto fu che la mano le si incenerì e guarì solo al contatto col Divin Gesù. Ecco che nel presepe si trovano più lavandaie, chi nell’atto di lavare, chi di stendere ad asciugare i panni del parto, candidi come la verginità di Maria.

E poi c’è Benino il pastorello dormiente: è un personaggio speciale, viene posto in alto al presepe e rappresenta il cammino spirituale fino alla grotta, un percorso in discesa, in sogno. Alla fine del viaggio, giunto dinanzi alla grotta si identifica con il “pastorello della meraviglia” che accecato dallo stupore
della Nascita, fa la riverenza, spalanca le braccia e la bocca per gridare muto la meraviglia del Divino.

Accanto a lui fuori dalla grotta lo zampognaro che è la gioia del Paradiso, dell’eternità felice.

E dal bambinello giunge un personaggio poco noto: il poverello. Si narra che i Magi fossero stati 4, ognuno raffigurante i punti cardinali, nel viaggio furono assaliti dai predoni e uno di loro, derubato e quasi ucciso, riuscì a salvarsi e a giungere da Gesù, senza più gioielli da offrire, gli porse il suo cuore e Gesù gli sorrise.

I figuranti son tantissimi: dai contadini agli artigiani, ai falegnami, ai fabbri, ai maniscalchi, ai ciabattini e alle donne intente a fare il pane, a dar da mangiare agli animali o a prender acqua, personaggi che compaiono a seconda della regione di origine, ma tutti hanno il senso comune di “operai della vigna del Signore” accomunati da quel ritrovato e rinato senso di carità cristiana.

Legata alla tradizione più antica, posta in un angolo della grotta dal lato della Madonna, vi era la zingara la cui leggenda racconta che avesse predetto la nascita di Gesù, illudendosi di essere lei la vergine che lo avrebbe partorito, quando udì gli angeli annunziare la nascita, capì di aver peccato di presunzione e fu trasformata in una civetta. La zingara col bambino in braccio può rappresentare la stessa Maria, zingara in un paese straniero dopo la fuga in Egitto. Altra interessante interpretazione è legata a un mito che racconta di una donna vergine, Stefania, che quando nacque Gesù andò per adorarlo ma fu fermata dagli angeli che ne impedivano il passaggio alle donne non sposate. Il giorno
dopo, Stefania prese una pietra, l’avvolse in fasce e fingendosi madre, riuscì ad entrare nella grotta, lì alla presenza di Maria, si compì il prodigio, la pietra divenne bambino, ecco perché Santo Stefano si festeggia appunto il 26 Dicembre. Ancora un’altra zingara vive nel presepe, quella senza bambino ma con dei ferri in mano che simboleggiano i chiodi della passione di Cristo.

Ci sono poi i gruppi come i giocatori di carte, figure senza dubbio profane, i due compari chiamati “i San Giovanni” cui si riferiscono i due solstizi del 24 Dicembre e 24 Giugno, simboleggiano
il Carnevale zi Vicienzo e la morte zi Pascale, a cui si chiedevano i pronostici per il gioco del lotto.

Del presepe, fondamentali sono anche i suoi elementi come il pozzo, quale collegamento tra la superficie e le acque sotterranee, a cui si associa la Madonna, da cui deriva Madonna del Pozzo. Al pozzo sono legate superstizioni che prevedevano il divieto di attingere acqua nella notte di Natale, o si
pensava che quell’acqua contenesse spiriti malvagi, oppure si credeva che nel riflesso apparissero le teste di tutti quelli che sarebbero morti nell’anno.

Altrettanto magica è la fontana, luogo di apparizioni fantastiche. La donna alla fontana è legata alla Madonna che avrebbe ricevuto l’Annunciazione mentre attingeva acqua alla fonte.

Non solo scenografico ma anche ricco di simbologia è il mulino con le sue ruote e pale che girano e indicano il passare del tempo. È anche inteso come la morte la macina che schiaccia il grano per produrre farina bianca. Con una interpretazione positiva, se si pensa che dalla farina si ottiene il
pane, alimento indispensabile al nutrimento.

Di rilevanza simbolica è l’osteria, inteso come luogo di rischio e di perdizione. Viandanti e viaggiatori per rifocillarsi dai viaggi faticosi erano costretti a fermarsi in locande gestite da albergatori loschi e malvagi, una leggenda narra di un oste che alcuni giorni prima di Natale uccise tre bambini con l’intento di servire le loro carni agli avventori, ma giunto San Nicola si rifiutò di mangiare e benedendo quei
resti, li riportò in vita. Più in generale l’osteria è l’allusione al viaggio di Giuseppe e Maria in cerca di un alloggio dove far nascere il Bambino.

A simboleggiare il viaggio vi è un altro elemento, diremmo mobile, nel senso che vien posto a distanza dalla grotta e tenuta nei giorni che precedono il Natale, per poi scomparire con la nascita di Gesù: è la Madonna in groppa ad un asinello tirato da Giuseppe.

Il presepe e il suo continuo alternarsi di sacro e profano, è simbolo del mistero delle sue rappresentazioni, un legame con il passato e un laccio di speranza legato al futuro, il presepe è l’essenza del Natale, è la sua metafora, il suo simbolismo. L’iconografia ci ha ricondotti ad un
mondo spirituale fatto di stupore, meraviglia, di sentimento e di amore, è un messaggio di “pace agli uomini di buona volontà” come recita l’annuncio dell’angelo uscito da una lampo di luce, calato con le sue grandi ali sul piccolo villaggio della Giudea, dove finalmente, allo scoccare della mezzanotte, la mangiatoia accoglierà il Bambinello Gesù. (Lucia Basile – Presepi e Foto: Vito Conversano)

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